Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Elogio del sonno: una riflessione sul vegliare cristiano

L’atto dell’addormentarsi è di per sé un atto di abbandono, secondo due modalità: o si tratta di un abbandono dovuto alla stanchezza estrema, o si tratta di abbandono fiducioso al riposo. Nell’uno e nell’altro caso dormire è comunque un atto di fiducia incondizionata, perché anche nella stanchezza il corpo si abbandona al riposo, o meglio, ci obbliga ad abbandonarci (e in questo senso “ci educa” ad abbandonarci) al riposo.

Si potrebbe dire che dormire sia una cosa “ovvia”, naturale per ogni uomo, eppure, come tutte le cose più ovvie ma originarie e fondanti la nostra umanità, presuppone molto di più di quel che sembra.

Prendiamo come esempio il bambino (in questo caso quindi ci troviamo di fronte ad una doppia originarietà, quella del sonno, e quella della nostra vita, che ha la sua origine nell’infanzia). Bene, il bambino, ancora meglio il neonato si addormenta solo nell’abbraccio amorevole della madre. Perché? Perché il neonato ha solo sua madre, egli “naturalmente” (ma in questo non v’è nulla di meccanico) si fida di lei ed è per questo che può dormire tra le sue braccia. Ma c’è di più, in questa relazione con la madre, e nella fiducia che ne deriva, egli impara a regolare il suo sonno: impara a dormire.

L’originarietà di questa esperienza è tale che anche noi adulti dormiamo bene quando siamo tranquilli, quando il futuro e il passato non ci opprimono facendoci perdere la fiducia, facendoci percepire un’incrinatura nella nostra speranza. Ma qual è il senso di tutto ciò? Cosa porta con sé questa esperienza?

Si potrebbe rispondere che non ha un senso, che è così e basta. Oppure che è un fenomeno fisico o biologico, che è frutto di condizionamenti esterni, che è un prodotto sociale, ecc…

Eppure se si riflette con attenzione non si può negare come il sonno e questa cosa che chiamiamo “fiducia” siano intrinsecamente legati e come tutta questa dinamica abbia un senso.

Non c’è sonno senza fiducia e la fiducia è un “sentimento”, o un “presentimento”, di qualcosa che ci supera, che ci garantisce un senso ulteriore e che, quindi, ci fa vivere. Un presentimento che non generiamo noi, ma che ci è donato da sempre e che in questo originario e costante darsi nella nostra vita è saldamente fondato.

Scoprendo le carte, possiamo dire che questa fiducia, di cui stiamo parlando, a piena maturazione corrisponde alla fede, così come quella ansia, che non ci fa dormire, corrisponde alla paura (che è la radice dell’infedeltà). Si potrebbe dire, quindi, che occorre fede per dormire.

Che sonno tranquillo e fede siano collegati ce lo testimonia il salmo: «In pace mi corico e subito mi addormento, tu solo, Signore al sicuro mi fai riposare» (Sal 4,9). Nel sonno, momento nel quale io non posso più disporre di me, se non credo che qualcuno veglia su di me, come potrò dormire?

Il Cristianesimo ci rivela più chiaramente e più in profondità: il sonno diventa simbolo della morte. Quando, nell’episodio della “tempesta sedata” (Cfr. Mc  4,35-41), i discepoli sono sulla barca con Gesù, e «si levò un turbine impetuoso di vento che spingeva le onde nella barca», essi impauriti svegliano Gesù che «a poppa, sopra un guanciale, dormiva» (il particolare del guanciale è delizioso nella descrizione di quale sonno Gesù dormisse). Ma Gesù svegliatosi li rimprovera, perché essi – dice – non  hanno ancora fede. Perché mai rimproverarli di mancanza di fede, se è in corso un’emergenza? Ma, soprattutto, perché mai Gesù dormiva in quella situazione? I Padri della Chiesa hanno interpretato questo passo dicendo che il sonno di Gesù è figura della sua morte e che Gesù rimprovera i discepoli per la loro mancanza di fede perché essi non credevano ancora che Gesù si sarebbe risvegliato dal sonno (della morte). Essi non si fidavano tanto da riuscire dormire con lui durante la tempesta, essi avevano paura di affondare e di morire. Se questo brano può ancora sembrare troppo oscuro, più avanti nel Vangelo sentiamo Gesù dire: «La fanciulla non è morta, ma dorme» (Mc 5,39; ma anche Mt 9,24; Lc 8,52) e, ancora, «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,1). Si insiste sul tema del sonno-morte, ma con un accento particolare: la morte, quando Gesù si avvicina, diventa sonno. È che Gesù Cristo ha trasformato per noi la morte in sonno, o meglio, ha ricondotto la morte alla sua forma originaria, che è quella di sonno (i cristiani infatti non hanno più “necropoli” – città dei morti –, ma “cimiteri” – dormitori).

E così anche il salmo (4,9) acquista il suo compimento, perché in quel salmo è profeticamente annunciata tutta la fede di Gesù che accoglie il sonno della morte sicuro che il Padre lo risusciterà.

E così anche Genesi trova finalmente il suo compimento. Il sonno di Adamo, prima sonno fecondo dal quale Dio trasse Eva, poi, a causa del peccato, divenuto sonno di morte, trova compimento e superamento nel nuovo Adamo, che è Cristo: egli affronta quel sonno di morte e lo rende un sonno dal quale ci si risveglia e dal quale nasce la Chiesa, nuova Eva, libera dalla morte.

Per questo la Chiesa veglia e non dorme nella notte di Pasqua: essa lì sperimenta e testimonia che il sonno di morte non c’è più, perché Gesù, nostra vita, per noi l’ha cambiato per sempre in un sonno dal quale ci si risveglia, dal quale si risorge.