APPUNTI PER UN’INTRODUZIONE
ALLA STORIA DELLA LITURGIA
Antonio Donghi
Prima puntata
INTRODUZIONE
I testi che, a puntate, pubblichiamo su questa porzione del nostro sito raccolgono alcuni Appunti nell’intento di aiutarci a comprendere come il mistero dell’azione liturgica sia stato vissuto e interpretato nel corso delle diverse epoche storiche.
Nel contesto socio-culturale-teologico si cercherà di far emergere quali potrebbero essere state le componenti che hanno determinato l’evoluzione liturgica nelle sue forme, nei suoi linguaggi, nella stessa comprensione teologica.
Tale cammino dovrebbe anche aiutarci a capire le motivazioni che hanno via via, con il passare del tempo, determinato le differenti prassi attuali e a evitare alcuni atteggiamenti che il passato ci ha offerto e che potrebbero avere luogo di nuovo nel nostro mondo.
Questi “Appunti” ci sono stati generosamente consegnati dall’autore, monsignor Antonio Donghi (che peraltro non ha rivisto i testi), presbitero della Chiesa di Bergamo, assistente spirituale generale dell’Associazione Opera della Regalità di N.S.G.C., docente di liturgia e teologia sacramentaria presso vari atenei e istituti, autore di numerose pubblicazioni di carattere liturgico e collaboratore, per alcune voci, di diversi dizionari, ad alcune riviste di carattere liturgico e spirituale.
Sono “Appunti” e di questo genere hanno lo stile e la portata.
Il significato della ricerca storica nel cammino della liturgia
Le epoche caratterizzate dalle riforme liturgiche sono state facilmente accompagnate da ricerche storiche che si sono rivelate di grande aiuto per delineare il progetto da proporre e il cammino da percorrere.
Lo sguardo verso il passato vive della sua attualità nel momento celebrativo e apre la strasa per porre le premesse in vista di dar forma a un’autentica esperienza liturgica.
La liturgia, nel suo linguaggio, rappresenta l’attualità della Tradizione nelle categorie culturali determinate da un preciso momento nel percorso della storia.
In un’epoca non molto lontana dalla nostra, il mondo liturgico era stato considerato come un tutto misterioso e intoccabile, come una realtà fissa e inalterabile per tutti i tempi, riflesso del mistero e della perennità di Dio stesso. Tale atteggiamento mentale, che ignora le basi antropologiche del culto cristiano, è stato chiamato “monofisismo liturgico”.
Simile concezione della liturgica ha potuto facilmente sopravvivere a causa di un misconoscimento della storia. In realtà, la liturgica che noi celebriamo è il risultato del confluire di diverse componenti umane, in gran parte anonime; è il frutto del lavoro di molte generazioni cristiane che hanno qualificato la liturgia con le caratteristiche loro proprie.
La storia, che è in evoluzione in modo più o meno evidente a seconda delle differenti stagioni storiche, non può essere interpretata in modo adeguato se non nella luce della confluenza e dell’interazione di altri fattori.
In tale prospettiva si rivela indispensabile ed estremamente interessante situare ogni epoca della liturgia nel quadro più ampio della vita della Chiesa e nella relazione dialettica con gli avvenimenti politici e culturali.
Lo sforzo di ricerca storica non mira unicamente a introdurci nella “liturgia condita”, ma anche a farci comprendere la “liturgia condenda” che deve essere l’espressione adeguata di una comunità credente che vive e celebra la sua fede in determinate coordinate spazio-temporali.
Un simile approfondimento dovrebbe far scaturire un duplice risultato:
a) La liberazione da ciò che è contingente e caduco e che c’è stato consegnato dal passato come linguaggio ben situato storicamente. Questa lettura ci aiuta a non cadere nel pericolo dell’archeologismo o nelle nostalgie del mondo passato.
b) La riscoperta nelle epoche trascorse dei valori e delle verità che nello scorrere del tempo sono state determinate o che sono state rivestite di aspetti cultuali e rituali che ne impediscono oggi tutta la luminosità.
Nel campo liturgico, l’uso della ricerca storica non è dovuto semplicemente a una prospettiva cultuale che si prefigga di accrescere le conoscenze.
La storia è presente nella liturgia per una necessità interna, vitale e costitutiva, allorché s’intende il culto cristiano come un’istituzione e come un sistema di istituzioni.
“Lo studio dei riti da solo non esaurisce il fatto cultuale; in un’autentica ricerca storica si rivela indispensabile un insieme di dati. Ogni comunità religiosa […] si caratterizza per una fede comune a tutti i suoi membri e per un’attività cultuale più o meno complessa alla quale partecipano i fedeli e nella quale essi si riconoscono […] La prassi cultuale definisce in modo più autentico la comunità cristiana.
Infatti, nella misura in cui tutti i credenti si ritrovano o si riconoscono in una stessa prassi cultuale, essi continuano ad appartenere a una stessa comunità. Di conseguenza la comunità cristiana si definisce più specificamente mediante il culto attraverso il quale essa si esprime […] Il punto di rottura si ha quando i membri della comunità non si riconoscono più nella medesima prassi cultuale” (C. Vogel).
Nelle forme storiche del culto i cristiani riconoscono la propria scelta di Cristo.
Inoltre nel dato celebrativo attuale c’è l’assimilazione e la trasmissione di tutta la tradizione, “Celebrare significa affermare il presente, e questo diventa del tutto possibile solo ricordando il passato e aspettando il di più, che avverrà nel futuro” (H.J.M. Neuwen). “La celebrazione del nunc di oggi nasce e proviene dal nunc di ieri” (E. Mazza).
Nella lettura contemporanea, infatti, della storia della liturgia si supera un’esigenza apologetica o un’interpretazione rubricale; la liturgia oggi “non è più vista come un semplice movimento archeologico, ma cole qualcosa di vivo, di dinamico, di coinvolgente una comunità che proprio nella liturgia non solo ripete riti ai quali sa di ammettere un significato specifico, con i quali sa di collegarsi a un passato che in definitiva assume, facendo proprio il mistero che rivive nel rito anche se il rito in certo senso sfuggi” (L. Arturo da Fara). “La liturgia è come un albero, che è cresciuto nel notevole clima della storia del mondo, che ha conosciuto il tempo dell’uragano e quello della fioritura, ma la cui crescita proviene dall’interno, da quelle forse vitali dalle quali esso è nato” (A.J. Jungmann).
Infatti:
a) La liturgia può essere il luogo privilegiato dell’ortodossia.
b) La liturgia può essere lo sbocco necessario della devozione.
c) La liturgia può essere luogo privilegiato del magistero ecclesiale.
d) La liturgia è soprattutto momento dell’esperienza dell’agape e del mistero.
Tale viva lettura della liturgia nella sua dinamicità storica ci orienta a ritrovare alcuni elementi per una visione storica nell’ambito dell’evoluzione dei suoi linguaggi:
a) Il riferimento primario alle variabili cultuali delle diverse epoche storiche.
b) La consapevolezza che la prassi rituale cristiana nasce, fin dalle origini, diversificata e moltiplicata proprio perché situata in contesti ecclesiali e cultuali diversi.
c) Le dinamiche pastorali e teologiche che intervengono nel farsi e nell’esprimersi dei riti.
L’accostarsi a tali parametri si rivela indispensabile poiché il mistero liturgico è l’oggi dell’incarnazione della salvezza e tale realtà si colloca all’interno della storia come evento di salvezza.
Infatti, “la liturgia è il mistero (= piano salvifico focalizzato nella Pasqua di Cristo e attualizzato nella Chiesa) celebrato (= mediante l’azione sacra nella quale Cristo esercita il suo sacerdozio e nella quale i segni sensibili realizzano ciò che significano) per l’uomo (= incorporato alla Chiesa e partecipante alla celebrazione, glorifica Dio ed è santificato)” (D. Borobio).
Questa visione propone tre momenti essenziali e determinanti:
1. Il mistero
2. La celebrazione
3. L’uomo.
La scienza liturgica deve coniugare tale trilogia.
Studiare la storia della liturgia non consiste nell’enumerare dati, documenti, numeri… ma nel descrivere l’esperienza di un popolo credente che ha pregato, annunziato e celebrato il mistero di Cristo; nel percepire l’espressione di una fede manifestata nei gesti e nelle parole e nel seguire il processo di formazione-perfezione-rinnovamento della celebrazione secondo la teologia, il concetto di liturgia e il mondo socio-religioso-culturale circostante.
Le molteplici caratteristiche dei linguaggi liturgici indicano la storicità della celebrazione. Il presente, significato dall’oggi celebrativo, con il suo carattere di presenza misterica, di interpellanza e di attualità del dinamismo pasquale, non è una realtà atemporale perché proviene dal passato per proiettarsi nel futuro.
Il momento celebrativo assume, nel processo di riattualizzazione del mistero pasquale, tutte le categorie linguistiche dell’hic et nunc e in tale constatazione l’approccio storico si rivela indispensabile per avvertire le significazioni più profonde dell’evento memoriale salvifico. La celebrazione liturgica si colloca in una storia esistenziale che è la tradizione vivente che ha formato e condotto le generazioni cristiane.
Noi sappiamo che la nostra odierna celebrazione ha le sue origini nel passato, sia come contenuto (l’evento pasquale) sia come forme espressive (la tradizione ecclesiale). Di conseguenza la nostra celebrazione resterebbe ermetica, senza l’approccio storico e l’apporto ermeneutico, sia per i testi liturgici sia per le forme rituali.
Lo studio delle forme e dei testi liturgici è tutt’altro che arido e infruttuoso, si rivela invece estremamente formativo in ordine a un’autentica vita liturgica.
Tuttavia, perché l’interprete del linguaggio liturgico possegga il significato non solo delle forme celebrative, ma soprattutto della stessa azione liturgica quale la Chiesa la intendeva e viveva, è necessario che egli eserciti la sua critica anche su quella Tradizione cultuale e religiosa che gli ha formato e trasmesso la sua propria mentalità. La ricerca storica deve guidare alla purezza delle forme per la trasparenza dei contenuti.
La ricerca storica con la sua componente storica, dialettica e interpretativa non resta chiusa nella propria specializzazione, ma attinge una liturgia che testimonia la fede in Cristo vissuta nella Chiesa di un ieri più o meno passato. “Il presente è un testo e il passato la sua interpretazione” (Card. Newman).
Nella luce di tutta la tradizione liturgica il cristiano diviene un insostituibile protagonista di quella riforma che è sempre in atto. La riforma liturgica, come fatto “religioso” e non come semplice ricerca archeologica, è fortemente tributaria della storia. Essa è un fatto religioso e pastorale proprio a causa della sua componente storica che immette nella vitalità di tutta la tradizione. La ricerca possiede una notevole ripercussione nella attuazione della riforma della vita liturgica della Chiesa.
In questa visuale è indispensabile riscoprire l’intelligenza del Mistero che la comunità cristiana ha avuto nel suo cammino attraverso le diverse epoche della storia. Tale urgenza fa sì che la riflessione storica venga condotta alla luce della totalità della vita liturgica, della sua spiritualità, degli sviluppi e mutamenti che sono intercorsi nello svolgersi del tempo. È indispensabile vedere, attraverso le diverse epoche culturali, come il culto della Chiesa si sia incarnato ed espresso nelle forme della cultura propria a ciascuna epoca e come, d’altra parte, sia stato eventualmente capace di influire su queste stesse culture o addirittura di trasformarle.
A livello sociologico possono servire le seguenti osservazioni.
“La storicità dell’agire rituale-simbolico nell’interazione e processualità sociale fa di un gruppo una comunità celebrante. È indispensabile comprendere le forme e il divenire della liturgia in rapporto ai concreti fattori sociali e culturali di una determinata epoca sia per quanto concerne il loro influsso sulla prassi liturgica sia per quanto concerne l’influsso di questa sulla socio-cultura. Come il discorso religioso manca di serietà se sfugge alla storia e dimentica ciò che la fa funzionare, così la liturgia, e la riflessione su di essa, manca di serietà se dimentica la dinamica storico-sociale del contesto sociale ed ecclesiale. Il rituale coinvolge la totalità della cultura e da questa è coinvolta” (G. Ambrosio).
“La liturgia è per definizione azione di un popolo. I sociologi hanno sottolineato i meccanismi psico-sociali in gioco in una comunità celebrante e le interferenze della comunità riunita con la società in modo globale […] La riforma liturgica s’è sviluppata all’interno di una crisi socio-culturale più ampi; la destrutturazione dei riti si è accompagnata con una destabilizzazione sociale […] Tutto lascia intendere che non si possa operare una riforma liturgica se non in un momento di profonda trasformazione socio-culturale. In un’epoca di stabilità sociale, è più difficile cambiare le istituzioni e i riti poiché da una parte il corpo sociale ed ecclesiale, fondandosi sull’ordine e stabilità, non ne avverte l’urgenza; dall’altra le forze conservatrici impediscono alle forze innovatrici di passare all’azione. Riforma liturgica e cambiamento sociale, fissità liturgica e immobilismo sociale vanno di pari passo e si consolidano reciprocamente” (R. Bornert).
In una visione più ampia si è chiamati a interpretare la liturgia nella sua evoluzione storica come
a) Rapporto tra fede e liturgia secondo l’assioma medioevale “Lex orandi – lex credendi”
b) Rapporto tra liturgica e cultura
c) Rapporto tra liturgia e spiritualità
d) Rapporto tra liturgia e vita pastorale.
Partendo da tali possibili punti di lettura si può cogliere ciò che è essenziale nell’ordine celebrativo e ciò che è frutto di aspetti contingenti.
(1 – continua)