“La gioia di ritrovarsi a cantare la nostra fede passa attraverso una molteplicità di linguaggi verbali e gestuali ai quali non sempre prestiamo sufficiente attenzione, anche se sappiamo che la presenza sacramentale di Cristo s’incarna nel nostro cammino di comunità credente attraverso segni significanti e santificanti (cfr. Sacrosanctum Concilium 7). Nella diversità di tali segni e nella loro vitalità veniamo presi per mano dalla Chiesa e siamo sollecitati ad entrare in un’atmosfera-esperienza divina dove Dio ci si rivela, mentre godiamo di stare alla sua presenza e ci lasciamo avvolgere dalla sua luce” (dalla Introduzione di: Antonio Donghi – Gesti e parole nella liturgia – ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano – edizione riveduta e ampliata 2007).
“La nostra attenzione sarà rivolta soprattutto all’insieme delle azioni che rappresentano la dinamica della esperienza celebrativa. La loro comprensione ci farà intuire la povertà dei nostri linguaggi umani, ma contemporaneamente ci permetterà di intravedere la meravigliosa grandezza dell’Ineffabile che attraverso la semplicità dei nostri gesti si pone accanto a noi, ci guida, ci edifica e ci permette di accogliere la potenza della salvezza di Cristo, nostro Maestro e Signore. Vivere le azioni rituali nello stile della semplicità evangelica diviene allora una grande supplica a Dio, perché sia il pastore della comunità che con fede si raduna nella celebrazione per proiettarsi verso il compimento del dono della sequela: la contemplazione trasfigurante della SS. Trinità” (dall’op. cit. pp. 11-12).