Il coronavirus è una tragedia inaspettata, un flagello di proporzioni bibliche che getta l'umanità nel timore di perdere la propria vita o quella dei familiari, degli amici. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari siano sopraffatti sono necessarie, ma creano la situazione inedita di essere isolati nelle case e l’impossibilità di celebrare la Pasqua nelle assemblee liturgiche. Cosa può dirci questa situazione singolare?
La festa sarà sentita meno oppure sarà l’occasione per una comprensione più profonda dell’evento salvifico che sta alla sua origine? Di cosa è memoriale la Pasqua?
ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ
Un primo significato, che ci viene dal Vecchio Testamento è “il passaggio di Dio”: Dio passa e salva le case degli israeliti (Es.12, 26-27); e guida il popolo nel passaggio del Mar Rosso verso la salvezza (Es. 13,15). Quest’anno forse viene avvertito con più forza il bisogno che Dio passi per salvare il suo popolo.
Con il Nuovo Testamento si aggiunge un nuovo significato: la prima comunità cristiana comincia a vivere la Pasqua non più come ricordo dell’esodo, ma come memoriale di ciò che è avvenuto a Gerusalemme durante una Pasqua e come attesa del ritorno del Cristo.
L’adorazione di Dio, con la venuta del Suo Cristo, non è relegata in un luogo geografico, né nel tempio, così come non ha più rilievo la separazione tra Giudei e Gentili: tutti i figli di Dio hanno pari accesso a Dio Padre attraverso il Figlio. L'adorazione diventa una questione di cuore, non di azioni esteriori, ed è guidata dalla verità e non da un rituale: “Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4,23).
A questo si riferisce San Paolo quando invita a “celebrare la festa” (1 Cor 5,8): “celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”.
“LITURGIE FAMILIARI”
È un cambiamento grande che oggi abbiamo l’occasione di riscoprire “costretti” dalle disposizioni che debbono impedire la diffusione del contagio. Una riscoperta dell’essenziale, di ciò che sta al centro dell’azione liturgica e la riscoperta della casa e della famiglia come “chiesa domestica”. L’eccezionalità del momento può aiutarci a ripensare un’integrazione tra liturgie familiari o nelle case e liturgie comunitarie. Certo non celebrazioni alternative né sostitutive, bensì integrative, che potranno e dovranno essere mantenute anche quando sarà passata l‘eccezionalità di questo momento. Un’esperienza che può essere opportuna per una scelta che dovremo realizzare nella pastorale ordinaria con una nuova centralità della famiglia “chiesa domestica”, luogo di ascolto della Parola, di preghiera, di catechesi. Un modo per valorizzare la stessa dimensione parrocchiale nel contesto secolarizzato in cui viviamo.
PASSIONE E RESURREZIONE
In queste settimane si è già potuto fare esperienza di questa dimensione, a maggior motivo dobbiamo viverla per la Pasqua, per la sua centralità nella vita cristiana, a partire dal Triduo che per Agostino era il “triduo del Signore, crocifisso, sepolto e risorto”.
La Pasqua rappresenta la sintesi tra la passione e il passaggio di Cristo da questo mondo al Padre.
Dirà ancora Agostino: “tramite la passione il Signore passò dalla morte alla vita”.
Lo sappiamo, lo sperimentiamo eppure facciamo fatica ad accettare il passaggio per il patire e per la morte. Così come faticavano gli apostoli e i discepoli. A due di loro sulla strada di Emmaus il Signore dirà: “Non bisognava che il Cristo sopportasse patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).
Siamo portati a non ricordarcene; e i riti, le liturgie cui partecipiamo, anche sulla scia della tradizione, spesso non riescono a scuoterci, a sollecitare una fede viva capace di accettare che “…dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (At 14,22).
Restiamo come distaccati dal Signore, in fondo lui è lassù, noi quaggiù e la gioia del Vangelo non cambia la nostra vita, mentre dovrebbe riempire “il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (EG,1). Per questo abbiamo bisogno di “fare Pasqua”.
Scriverà ancora Agostino: “passione e resurrezione del Signore: ecco la vera Pasqua”.
È la Pasqua di Dio che si salda con la Pasqua dell’uomo.
UNA FEDE CHE AMA LA TERRA
La Pasqua è croce e resurrezione. È Il mistero pasquale in cui non è facile entrare se ci accostiamo solo con la ragione, ma che ci risulta evidente se ci accostiamo con la vita. Perché la vita cerca un senso, lo cerca nella gioia e lo cerca nel dolore; di fronte alla morte la resurrezione apre alla speranza: “la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto ora, vivo, regna”.
L’antica sequenza medievale cantata nella messa di Pasqua annuncia la speranza.
In questi giorni in cui un’epidemia che assomiglia tanto ad un flagello biblico, investe e getta nello sconforto l’umanità, questo mistero “ci serve”: la croce e la resurrezione di Gesù, la sua Pasqua, sono la sintesi della fede, il senso stesso della missione del verbo di Dio fatto uomo.
Abbiamo bisogno di credere. Una fede che ama la terra, che aiuta la persona ad essere se stessa, in pienezza, che si fa carico dell’uomo “smarrito e impaurito” quando “scende la sera”, come ha detto Papa Francesco nell’invocazione sul sagrato di San Pietro. Siamo tutti sulla stessa barca bisognosi di conforto perché “la tempesta smaschera la nostra vulnerabilità” ma riscopre la comune appartenenza come fratelli.
La Pasqua ci da il senso dell’incarnazione, la completa, aiuta la nostra umanità ferita. La nostra fede, ha detto Francesco, è debole e siamo timorosi e riconosciamo il bisogno di aiuto e chiediamo al Signore che “non ci lasci in balia della tempesta”.
Abbiamo bisogno del suo passaggio, della sua morte e resurrezione, di una fede che sia umanizzante, che ci aiuti a vivere nella storia. Non servono le paure apocalittiche ne le astrazioni spiritualistiche. La pasqua ci aiuti a camminare in questo nostro tempo, con i piedi ben piantati per terra e lo sguardo rivolto al Risorto.