Nella prima domenica di Avvento dell’anno A la liturgia propone, come salmo responsoriale, il salmo 121 (122). Esso appartiene a una piccola sezione del Salterio, composta da quindici salmi, dal salmo 119 (120) fino al Salmo 133 (134), che presentano una particolarità: sono tutti accomunati da un medesimo titolo: ‘Canti delle ascensioni’ o ‘Canti delle salite’. Si è tentato in molti modi di interpretare il significato di questa espressione: probabilmente la spiegazione più semplice è quella più vera. Anche se questi salmi certamente hanno avuto origini diverse, sono stati però raccolti insieme per formare una sorta di piccolo breviario da viaggio, una raccolta di preghiere che accompagnassero i pellegrini nel loro cammino verso Gerusalemme e in particolare nel loro ingresso nel tempio di Gerusalemme, e dunque verso l’incontro con il Dio vivente, che abitava nel tempio. Nella tradizione ebraica le principali feste – la festa delle Capanne, la Pasqua e la Pentecoste – erano feste di pellegrinaggio: il credente doveva recarsi a Gerusalemme per celebrare la festa nella città santa e nel suo tempio. Anche Gesù più volte nella sua vita ha vissuto questo pellegrinaggio e dunque ha pregato questi salmi mentre saliva verso la città santa ed entrava nel tempio.
Il salmo 121 colora allora l’Avvento con questa tonalità: mentre ci disponiamo ad attendere colui che viene, scopriamo che noi stessi dobbiamo at-tendere, cioè tendere verso di lui, non solo con il movimento del nostro desiderio, ma con l’intera vita che si incammina e si fa pellegrina. Un incontro è possibile, ed è vero, quando ci si muove per andare l’uno verso l’altro. Usciamo da noi stessi per tendere verso colui o colei che desideriamo incontrare.
Il salmo si apre con il ricordo di un’esperienza gioiosa, felice. «Quale gioia quando mi dissero: ‘Andremo alla casa del Signore’». È significativo il modo con cui questo versetto articola insieme il singolare e il plurale. Il ricordo del salmista è molto personale, parla della propria esperienza: «quale gioia quando mi dissero»: dissero proprio a me, al singolare. L’esperienza si apre però subito al plurale: andremo – non andrò – ma andremo insieme alla casa del Signore. Infatti, si può andare non verso una città qualsiasi, ma verso Gerusalemme, casa del Signore, città della pace, solo a condizione di andarci insieme. Solo a condizione di fare ogni sforzo per superare quel punto di partenza rappresentato dal Salmo 119 (120), in cui al contrario si descrive l’esperienza dell’angoscia a motivo dell’estraneità, o dell’ostilità, perché si dimora in terra straniera, tra lingue di menzogna e ingannatrici, in mezzo a chi detesta la pace e vuole la guerra. Andare verso la casa del Signore ci impegna a fare ogni sforzo per uscire da questa situazione di solitudine, di estraneità, di ostilità, per iniziare a camminare insieme ad altri nella stessa direzione, mirando insieme a un unico traguardo: Gerusalemme, casa del Signore perché casa di pace, dove gli uomini e le donne imparano a vivere insieme riconciliati. «Quale gioia quando mi dissero»: la gioia che il salmista ricorda non è semplicemente la gioia di chi inizia ad andare verso Gerusalemme, ma più precisamente è la gioia di chi non ci va da solo, ma insieme agli altri. La città, peraltro, si presenta come salda e compatta non solo perché ben costruita, o perché armonica dal punto di vista urbanistico, ma perché può accogliere le tribù che dalla loro dispersione salgono insieme per radunarsi in unità. È proprio questa unificazione profonda, generata dal convergere insieme verso un unico luogo pur provenendo da cammini differenti, che diviene possibilità di pace autentica.
Possiamo allora domandarci: cosa significa camminare verso Gerusalemme? Che cosa davvero cerchiamo andando verso Gerusalemme? Il salmo risponde a questo interrogativo in modo poetico e simbolico. Nel suo testo, infatti, ci sono quattro termini che si ripetono tutti tre volte, non una volta di più, non una volta di meno, ma tre volte e il ‘tre’, nel simbolismo biblico, è un numero che indica pienezza. Questi termini sono: Gerusalemme, Signore (nella tarduzione italiana lo incontriamo quattro volte, ma nel testo ebraico le ricorrenze sono tre), casa e pace. Ecco cosa cerchiamo salendo a Gerusalemme: cerchiamo l’incontro con il Signore, che abita nella città e nel suo tempio; cerchiamo una casa: non solo la casa del Signore, ma la nostra casa, nella quale imparare ad abitare in una fraternità riconciliata, accogliente, ospitale. Siamo un popolo in cammino, siamo pellegrini e nomadi, ma cerchiamo una casa nella quale gioire perché abitiamo insieme. Per questo motivo, il terzo grande bene, la terza grande benedizione che cerchiamo salendo a Gerusalemme è la pace, quella pace che, come Gesù ci ricorda nel vangelo di Giovanni, il mondo non sa dare, e noi dobbiamo invocare e attendere come dono che scende dall’alto.
Il salmo in questo modo ci consegna una domanda importante per la vita di ciascuno di noi e per quella delle nostre comunità: che senso ha per la nostra vita desiderare l’incontro con il Signore, cercare una casa, aspirare alla pace? Il Signore, una casa, la pace: questi tre desideri abitano davvero nel nostro cuore? E in che modo? Come nella nostra ordinaria esistenza possiamo dare un volto più concreto a questi desideri, come ogni giorno cerchiamo il Signore, cerchiamo una casa, cerchiamo la pace? Attraverso quali gesti, parole, esperienze? Preghiamo il Signore, in questo Avvento, perché illumini la nostra ricerca e, nel dono del suo Spirito che ci insegna ogni cosa, ci aiuti a prendere sul serio queste domande per dare loro risposte incarnate nella vita di ciascuno.