La festa della trasfigurazione del Signore è celebrata dalle chiese di Oriente e di Occidente il 6 agosto. Una festa solenne e ricca di significati che cade nel periodo del riposo e delle ferie per molti. Una festa che forse può aiutarci anche a vivere il tempo in modo nuovo, come opportunità per approfondire la nostra fede e contemplare il mister di Dio.
L’icona ripercorre, illustrandolo, il racconto biblico della Trasfigurazione di Gesù, che la tradizione colloca sul monte Tabor. Gesù ha preso con sé alcuni dei suoi discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.
Questi tre sono gli stessi apostoli che Gesù porterà in disparte nell’orto degli Ulivi: qui lo contemplano trasfigurato nella gloria, là lo vedranno trasfigurato nella passione. E forse questo momento è quasi una preparazione.
È con loro che sale su un monte ed è davanti a loro che il suo aspetto cambia. L’icona ci porte già sul monte.
Al centro dell’icona c’è Gesù con le vesti bianche, splendenti; è avvolto di luce e dietro di lui i cerchi concentrici rappresentano il cielo.
L’immagine ci colloca così in un altro spazio: se il monte alto rappresentava già una particolare vicinanza con Dio, qui il cielo e la terra sembrano essere congiunti sulla cima di questo monte.
Anche le proporzioni dei corpi sono allungate, un modo per farci comprendere che siamo in un contesto diverso da quello meramente storico: siamo nel mondo celeste e quello che l’icona ci comunica è un messaggio utile per il cammino di fede, introducendoci nel mistero di Dio.
Accanto a Gesù altre due figure in atteggiamento di rispetto, di ossequio. Sono due personaggi noti perchè la scritta accanto a loro riporta i loro nomi: Mosè ed Elia.
Ma soprattutto sono due simboli importanti.
Mosè rappresenta la Torah-la Legge i primi cinque libri della Bibbia, che venivano interamente attribuiti a lui e che sono il fondamento della Scrittura ebraica.
Elia rappresenta il profetismo biblico. Nella Scrittura Elia è un profeta particolare; di lui non si dice che sia morto, ma che sia stato assunto in cielo su un carro, mentre il suo mantello lasciato al suo discepolo Eliseo, simboleggiava il dono profetico che Dio concedeva anche ad altri.
Ebbene entrambi sintetizzano tutto l’Antico Testamento, le Scritture che Gesù conosceva.
Gesù dialoga con loro; egli porta a compimento, infatti, la Legge e i Profeti, le promesse di Dio, le attese messianiche.
Con lui è giunto il tempo del compimento, inizia il tempo escatologico, il tempo ultimo. Se il cielo si unisce alla terra, anche il tempo si trasforma, diventa già tempo di eternità.
In basso, nell’icona, sono raffigurati i tre discepoli. Il loro atteggiamento, le posizioni dei corpi li ritraggono quasi come “travolti” da ciò che avviene davanti-sopra a loro. Sono “capovolti” nella loro esperienza. Ora davanti a loro non è più il Maestro, ma un uomo nuovo, avvolto di luce e di gloria.
La luce che da lui emana non sembra, però, illuminarli, ma piuttosto travolgerli, quasi trafiggerli.
A differenza del testo biblico qui non appare niente del desiderio di fare tre tende espresso da Pietro; non traspare il desiderio di rimanere in questo luogo.
L’esperienza di fede ci chiede un capovolgimento: non possiamo conoscere Cristo solo secondo la carne. Comprendere chi sia è dono dello Spirito.
Tuttavia i discepoli “travolti” ci ricordano anche che il Tabor precede la passione. In quel momento pasquale apparentemente non resterà niente della gloria luminosa di questo evento mentre le tenebre avvolgeranno il mondo.
Eppure la luce della trasfigurazione, mentre interroga il discepolo, è anche capace di permettergli di superare il buio, di cogliere nella storia di Gesù di Nazareth il compimento delle promesse di Dio, la realizzazione di ogni attesa.