La scrittura e la selezione di canti per la liturgia, nel cammino fatto dopo il Concilio Vaticano II, sono esercizi ancora troppo lasciati alla sensibilità dei singoli. Per questo, c’è bisogno di mettere in comune alcuni ragionamenti che partano dalla esperienza e si presentino, con molta umiltà, come un primo parziale risultato, forse buono soprattutto per costruirvi sopra altri percorsi. In molti anni di servizio ai canti, mi pare di aver condiviso con tanti un criterio generale, ovvero l’obbligo di partire dalla funzionalità dei canti in riferimento alla celebrazione in cui essi sono inseriti; perché, troppo spesso, si valutano (e si scrivono!) i canti strappandoli dal contesto vitale e rituale in cui andranno ad essere collocati; per cui, il giudizio che ne ricaviamo – sono belli, sono validi – prescinde dal loro utilizzo concreto. Dunque, serve una classificazione generale, che interpelli in prima istanza il contenuto esplicito di cui essi sono portatori (attraverso le parole come la melodia). Nel mio lavoro, ho posto soprattutto attenzione ad una triplice istanza: 1. Canti che servano alla comunione dell’assemblea; 2. Canti che facciano pregare insieme; 3. Canti che esprimano la fede. Cerco di spiegare che cosa intendo.
Canti che servono la comunione
Sebbene possa accadere anche il contrario, nelle liturgie il canto serve ad unire; nel senso che è azione tipicamente umana ma, in contesto celebrativo, mai solitaria. Nella logica postconciliare, l’assemblea si raduna: è questa la grande esperienza che innalza l’uomo ed il credente al di sopra della logica solipsistica, perché ognuno è chiamato a riconoscersi parte di un popolo. Popolo che non è (solo) espressione ovvia di relazioni sociali –siamo tanti, stiamo insieme- ma prima di tutto è risposta ad un invito: quello che il Signore fa ogni giorno, in ogni tempo a ciascuno: “Esci dalla tua terra (cioè dal tuo rigido particolare)”, per scoprirti dentro una storia, che è storia di salvezza. L’assemblea radunata esprime visivamente questo dono, sia in piazza San Pietro, sia in una chiesina di montagna o in una periferia disordinata. Ora, il canto forza alla comunione, nel senso che chiede a ciascuno di accordarsi con la voce degli altri. Pensiamo, solo per fare un esempio, all’enorme valore che può avere il canto d’ingresso, oppure a quelle parti proprie cantate, come l’Alleluia o il Santo, nelle quali è più evidente questa condizione unitaria e unificante.
Canti di chi prega insieme
Dentro il rito, i canti sono preghiera. E se è vero che la preghiera può avere varie espressioni, quella però che si fa insieme agli altri –ai fratelli nella fede- ha un valore diverso e più grande. Non so se, oggi, nelle nostre comunità si ha chiaro perché ci si trovi insieme a pregare, attorno alla mensa della parola e del pane; temo soprattutto una certa superficialità o il prevalere della routine anche nella animazione. Sono ormai poche le occasioni in cui si “insegna” a pregare insieme; è un impegno che domanda sapienza, perché –ci è stato detto- se si invoca il Signore insieme, lui certamente ascolta! Allora, quel che sono io (il mio universo spirituale) non può avere prevalenza sulla voce degli altri, e se l’assemblea domenicale è proprio quella in cui ci si ritrova “tutti”, anche quelli che eventualmente non ci sono, il nostro dire a Dio non può essere “ostaggio” di sensibilità troppo specifiche, di piccoli gruppi, di spiritualità rispettabili ma ristrette. Quanti canti, invece, rischiano di veicolare istanze di preghiera troppo particolari? E con che coraggio noi le mettiamo… in bocca a tutti?
Canti che dicono la fede
Se ragioniamo soprattutto sui testi, è importante comprendere una urgenza cui i canti danno una parziale, ma reale, risposta: essi ci aiutano ad esprimere i contenuti della nostra fede. In relazione alla scelta dei canti da utilizzare nelle liturgie, mi pare si debba porre sotto una lente particolare ciò che essi dicono quando narrano la fede, quando rielaborano contenuti biblici, quando “pretendono” di proclamare verità. A mo’ di esempio, inviterei a fare un esercizio semplice: valutare bene quella parte di repertorio che chiamiamo “canti mariani” e raffrontarla con i contenuti più recenti della ricerca su Maria, sul suo ruolo nell’economia di salvezza, sulla vera spiritualità mariana. Che cosa abbiamo fatto cantare alla nostra gente nel mese di maggio? Forse parole che non hanno riscontro con alcun dato reale, né della rivelazione, né della tradizione, ma solo parole vuote, spesso zuccherose, devozionismo al quadrato. Domandiamoci se questo è servizio alla verità, o è qualcos’altro.
Più in generale, nelle liturgie vanno utilizzati soprattutto quei canti che sanno ridire, con le parole dell’oggi, il dato di fede che abbiamo ricevuto; dunque, non una fede astratta o vaga, ma un orizzonte condiviso e bello verso cui, seppur con fatica, tutti camminiamo.
È per questo che un tale esercizio di discernimento su strumenti così importanti come sono i canti non va fatto da soli, ma dentro una logica di comunione. Scriviamo e troviamo canti belli, canti per tutti.
Luca Diliberto
Voce di Festa – Canti per le celebrazioni e gli incontri